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Crediti deteriorati. Raggiunti… i limiti

Ha fatto discutere la decisone presa dal cda di illimity, comunicata lo scorso 9 febbraio, di non investire più in nuovi portafogli di NPL (si veda articolo di BeBeez). Il giorno seguente, a Genova, la mossa della challenger bank lanciata da Corrado Passera, era tra gli argomenti più discussi tra i delegati all’annuale assise dell’Assiom Forex, considerata anche l’attenzione data a questo mercato, ai suoi player, e alla loro stabilità dal nuovo Governatore della Banca d’Italia, Fabio Panetta, nell’intervento preparato per l’occasione.

Il passo è infatti di quelli che lasciano il segno, perché in certa misura ufficializza l’esaurimento di un business rivelatosi nella seconda metà dello scorso decennio un’autentica vena aurifera. Basta infatti dare un’occhiata all’andamento dei volumi negli ultimi dieci anni, riportato nel grafico prodotto da PwC Italia nell’ultima edizione del suo survey semestrale sul mercato del credito distressed (si veda articolo di BeBeez), per capire che la fonte si è inaridita. Lo stesso Andrea Clamer. responsabile della divisione Distressed Credit, non a caso ora ribattezzata Specialised Credit, parlando con BeBeez aveva identificato come fattori alla base della decisone la scarsità di NPL in bilancio alle banche; gli alti tassi di interesse, che aumentano il costo della raccolta e riducono il valore degli asset in portafoglio; e gli obblighi regolamentari, in primis il calendar provisioning, che impone onerose svalutazioni alle banche.

Ma che tipo di segnale invia al mercato la decisone di Passera & C? Gli operatori contattati da BeBeez Magazine lo vedono come il segno che il comparto è divenuto troppo impegnativo, anche e soprattutto sul piano regolamentare, per essere redditizio.

C’è infatti chi trova nelle scelte di Passera non più di una conferma di un fenomeno in atto sul mercato già da diversi mesi. “Non c’è nulla di sorprendente”, spiega a BeBeez Magazine Giovanni Bossi, ceo di Cherry Bank, istituto specializzato sul credito distressed nato due anni fa dalla fusione tra la boutique Cherry 106 e Banco delle Tre Venezie, e che lo scorso dicembre ha formalizzato la fusione con la Banca Popolare Valconca (si veda articolo di BeBeez). Continua Bossi: “Alla base ci sono dei motivi di natura macroeconomica, e altri di natura gestionale, emersi già uno-due anni fa. Anzitutto i tassi sono saliti in misura importante. Gli NPL, specialmente quelli unsecuredsono strumenti a tasso fisso, spesso a medio/lunga scadenza, che non danno interesse. Se i tassi di interesse di mercato salgono, il valore attuale di strumenti a tasso fisso a lunga scadenza scende. Non c’è obbligo a svalutarli perché non sono asset da negoziare su un mercato regolamentato, ma il loro valore ne risulta comunque condizionato”. E aggiunge Bossi: “Qualche anno fa c’è stata una corsa a comprare portafogli a ogni costo, alimentata da un certo generalizzato ottimismo circa la capacità di incassare di più e prima rispetto a quanto riscontrato quattro o cinque anni dopo. Gli incassi nel tempo si sono rivelati in media inferiori alle aspettative dei gestori”.

L’effetto combinato di tassi alti e incassi deludenti ha fatto sì che si spegnesse l’interesse per gli NPL da parte degli investitori internazionali specializzati in asset illiquidi. Una conferma viene da Intrum, che a fine gennaio fa ha ceduto a Cerberus un portafoglio europeo di NPL da 33 miliardi di euro lordi, per un prezzo pari al 3% del nominale (si veda articolo di BeBeez). Secondo quanto risulta a BeBeez Magazine il portafoglio comprende anche esposizioni verso debitori italiani. “La domanda degli investitori si è ridotta molto più dell’offerta di NPL sul primario. Mi ricordo vendite cui partecipavano 20 operatori. Ultimamente ci è capitato di trovarci in gare nel tempo divenute trattative bilaterali. In tale scenario ovviamente i prezzi scendono”, racconta ancora Bossi.

C’è anche un altro motivo dietro al calo di interesse di tanti investitori. “Oggi i volumi sul mercato degli NPL vengono fatti per la grande maggioranza sul secondario dove, a differenza che sul primario, è divenuto difficile spuntare prezzi di acquisto convenienti, perché chi vende non è pressato a farlo, come possono essere per vari motivi le banche”, conferma Carlo Viola, fondatore e ceo di Fincavio, advisor anche di asset manager esteri, tra cui Triton AM, sull’investimento in crediti UTP e Stage 2. “Perché gli acquisti di portafogli oggi abbiano senso, occorre essere certi che il prezzo di acquisto sia tale da consentire un IRR compatibile con l’attuale livello dei tassi. Ciò non può prescindere da un accurato studio dei flussi di incassi realisticamente ottenibili da quel portafoglio”, conclude Bossi. Cherry Bank, che ha chiuso il 2023 con portafogli in gestione per 6 miliardi dai 3 miliardi di fine 2022, è uno dei pochi investitori che ancora acquisiscono portafogli di una certa consistenza. Proprio a fine anno ha rilevato, sul mercato secondario, un portafoglio da 864 milioni nominali (si veda articolo di BeBeez).

illimity Bank da parte sua ha invece deciso di dedicarsi ai crediti UTP e Stage 2 single name, la cui gestione ha molto in comune con operazioni di rilancio aziendale, anche con immissione di nuova finanza, e sulla cui redditività è meno complicato fare previsioni. Secondo quanto risulta a BeBeez Magazine illimity valuta di investirvi circa mezzo miliardo di euro.

Che il mercato si stia facendo sempre più difficile lo confermano anche gi ultimi sviluppi normativi, che potrebbero rendere la vita più dura per i servicer. “Nelle ultime settimane le autorità monetarie hanno avviato un giro di vite sull’attività e la supervisione dei servicer e delle attività collegate. Prevediamo che i requisiti in via di introduzione in pratica li equiparino nel tempo alle istituzioni ex art. 106 del TUB, quindi questi ultimi dovranno soddisfare anche obblighi di natura patrimoniale oltre che operativa, e aumenteranno gli obblighi accessori di natura regolamentare” segnala Enrico Cantarelli, managing partner di Phinance Partners, boutique di strutturazione di prodotti finanziari legati al debito, tra cui anche cartolarizzazioni legate agli npl”. Sviluppi che fanno prevedere un aumento dei costi dell’attività di servicing, non proprio una buona notizia per chi già si trova a investire a condizioni sempre meno favorevoli.

D’altra parte non sono certo voci. Il governatore di Bankitalia Panetta lo ha detto chiaro nel suo già citato intervento al congresso Assiom Forex: “La Banca d’Italia sta intensificando i controlli sui soggetti che operano nel recupero dei crediti, i cosiddetti master servicers. Sono emerse carenze organizzative che richiedono di rafforzare i controlli e migliorare la gestione dei rischi e le strategie di recupero, soprattutto laddove queste ultime siano affidate a terzi”.

A questo proposito Sergio Bommarito, ceo di Fire, il principale special servicer italiano con un volume di crediti gestiti di circa 20 miliardi di euro a fine 2023, precisa: “Sinora i master servicer hanno svolto una sorta di supplenza dell’organo di vigilanza nel controllo a valle della catena di gestione, la Banca d’Italia ha quindi, a mio parere correttamente, deciso di estendere i controlli anche agli special, che di fatto sono i reali gestori. Se per i master servicer con questa evoluzione non cambia nulla, gli special servicer più piccoli dovranno affrontare un aumento dei costi”. Si tratta soprattutto di un aumento dei costi fissi, che per essere ammortizzati richiedono un volume minimo di attività. “Stimo che il volume minimo di crediti in gestione necessario ad assorbire i costi si aggirerà sugli 8 miliardi di euro”, aggiunge Bommarito.

L’intento della banca centrale è salvaguardare la stabilità del mercato NPL, quella che Panetta al Forex ha definito “un’infrastruttura strategica per il Paese”. Ed è proprio di tale natura il silenzioso braccio di ferro in corso tra il governo italiano e il gruppo ION, fondato dall’ex trader Andrea Pignataro, che lo scorso anno ha firmato l’accordo per acquisire il controllo del gruppo Prelios, tra i principali servicer italiani, oltre che grande asset manager immobiliare, valutato 1,35 miliardi di euro (si veda articolo di BeBeez). Un’acquisizione che ne segue parecchie altre, che sinora non avevano invece creato preoccupazione.

Ricordiamo che nel 2022 ION, delistandolo da Piazza Affari, aveva acquisito il controllo del gruppo Cerved, valutato 2,55 miliardi, che accanto all’attività di business information svolge a sua volta quella di credit servicer, sebbene con dimensioni ben più ridotte rispetto a Prelios (si veda articolo di BeBeez); nel 2021 aveva invece comprato Cedacri, fornitore di servizi informatici a diverse banche italiane, sulla base di una valutazione di 1,5 miliardi (si veda articolo di BeBeez) e la società toscana List spa, fornitore di software per il settore finanziario, partecipata dal fondo TA Associates (si veda altro articolo di BeBeez). Investimenti ai quali si sommano quelli condotti nel frattempo per acquisire quote di minoranza in illimityCassa di VolterraMPS, e anche in FSI sgr, la società di gestione di fondi di private equity guidata da Maurizio Tamagnini.

Ma appunto sinora le operazioni non avevano subito ostacoli di sorta, mentre quella su Prelios ha fatto scattare un’allerta in tema di possibile esercizio del Golden Power da parte del governo (si veda articolo di BeBeez). Il motivo del contendere è che chi gestisce credito deteriorato per conto terzi si trova anche a gestire grandi masse di informazioni delicate, riguardanti imprenditori e imprese, la cui caduta in mani sbagliate può avere conseguenze devastanti. Non ci può essere opacità su chi gestisce e sul modo in cui utilizza tali informazioni. E, come riferito settimane fa da Reutersquesto è uno dei temi, perché di ION un bilancio consolidato non esiste o almeno non è mai circolato. Inoltre, come riferito da Bloomberg, l’operazione Prelios sarebbe in un impasse, dato che il governo vuole accertarsi del livello di debito complessivo che graverà sulle spalle di Prelios dopo l’acquisizione e quindi richiede che venga presentata una nuova richiesta di via libera alle autorità responsabili del Golden Power, ma le banche che si sono impegnate a finanziare il deal possono procedere con l’erogazione dei capitali soltanto quando il governo darà il suo via libera al deal. Da qui lo stallo.

Detto questo, Fabrizio Palenzona, presidente della Fondazione CRT e presidente di Prelios, in un’intervista al Sole 24 Ore pochi giorni fa, a proposito d Pignataro ha detto che si parla di “uno che ha iniziato da zero e oggi ha un gruppo industriale innovativo con un enterprise value di oltre 45 miliardi e un ebitda di oltre 2 miliardi” e “a credere in lui sono le principali istituzioni finanziarie del mondo”, quindi “ION vale molto più del suo debito”. Così Palenzona non è preoccupato dei tempi lunghi del closing: “Quando un’operazione è valida, strategica e assicura un contributo allo sviluppo, un po’ di pazienza è d’obbligo”, ha detto, aggiungendo: “Abbiamo bisogno di un azionista stabile e di lungo periodo come ION”, “vogliamo crescere ed esportare la nostra esperienza. I servicer italiani sono i migliori e con ION possiamo giocare la partita per diventare protagonisti europei del settore”.

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